Il tema più trattato in questi ultimi due mesi, dopo la pandemia e le sue conseguenze socio-economiche, è lo smart working.
Nei social media è osannato, come se fosse la soluzione tanto agognata da tutti i lavoratori costretti ad andare in ufficio, malvolentieri dividendo spazi comuni, scrivanie, caffè, pranzi. Oggi è diventata una soluzione, o meglio, da due mesi a questa parte lo smart working è diventato LA SOLUZIONE per poter lavorare nonostante tutto. È stata la risposta del mondo digitale alla nostra chiusura dentro le mura delle nostre case. Io stessa ho ascoltato webinar, letto articoli, mi sono confrontata con persone che svolgono lavori più diversi, anche con chi lo smart working non può farlo, perché non è un colletto bianco. Mi sono fatta così un’idea dello smart working in generale e su come abbia inciso sulla mia quotidianità.
Credo che stia diventando una nuova forma di comunicazione e relazione. Troppo riduttivo relegarlo solo al mondo del lavoro. Ma è stato davvero così rivoluzionario? Per molti il lavoro da casa c’è sempre stato, solo che lo si faceva dopo le ore di ufficio, oppure a seguito di eventi che impedivano la presenza fisica in azienda. È da sempre accaduto che il lavoro entrasse erroneamente nelle nostre case (quanto abbiamo letto a riguardo?), rendendo difficile l’equilibrio fra casa e lavoro. Adesso è entrato prepotentemente, portandosi con sé tutte le regole del telelavoro, senza poter mettere confini. Come si fa adesso a parlare di regole, quando è accaduto quello che molti desideravano?
“Tanto cosa hai da fare… tanto cosa c’è di male, intanto preparo la lavatrice, metto a lievitare la pizza…”, e intanto il telelavoro (chiamiamolo per quello che è) erode quel poco di vita privata che ci eravamo faticosamente creati. Tanto è tutto tempo risparmiato: via il tragitto casa lavoro, ben venuto caffè in solitaria, in più hai la fantastica opportunità di pranzare con bambini e familiari al seguito. Tutti i giorni!
Devi preparare almeno due pasti al giorno (anche le merende per i bambini) con la spesa organizzata, pasti bilanciati e dieta equilibrata. Ripenso poi ai pranzi fra colleghi. Li rivedo, a distanza di tempo, certamente come una occasione per non cucinare tutti i giorni, ma anche come un tempo per il confronto. Era un momento fugace per conoscerli fuori dal tempo/lavoro, per parlare di altro, per essere più vicini sebbene distanti per esperienza, età anagrafica, aspettative, competenze. Una scusa per ri-conoscersi uomini e donne che sono altro dal loro lavoro.
Veniamo a me.
Cosa ha comportato lo smart working nelle attività (selezione del personale ed orientamento al lavoro) che svolgo? Il mio lavoro non ne ha risentito più di tanto.
Ho fatto questa scelta ormai più di un anno fa: abbandonare la sicurezza per poter lavorare conciliando lavoro e famiglia senza stress, sensi di colpa, sentimento di inadeguatezza, frustrazione. Senza avere addosso la sensazione di essere un giocoliere perennemente imbranato.
Dunque per me il lockdown doveva essere un periodo uguale agli altri: quest’anno ho spesso lavorato da casa. Poco è cambiato. Anzi. La mia attività di ricerca e selezione ne ha beneficiato.
Adesso improvvisamente i candidati di tutte le età hanno capito l’inevitabilità di utilizzare strumenti informatici per sostenere un colloquio. Da tanti anni uso Skype, facendo colloqui a manager, professionisti, impiegati, neolaureati, neodiplomati, operai, responsabili di produzione, capi reparto, promoter, commerciali. Indipendentemente dal ruolo e dall’area geografica di residenza, quando proponevo il primo colloquio su Skype si percepiva lo scetticismo già dal tono di voce, certamente più marcato in alcune fasce di età.
C’è chi non ha Skype, chi ha problemi con il computer, chi ha il computer ma non la connessione, ha Skype sul cellulare ma dove vive non prende il telefono (e quindi colloquio in macchina durante una grandinata, al bar, sotto l’ombrellone perché in albergo non prende o nella hall è troppo disturbato….)
Insomma adesso anche in Italia abbiamo smarcato l’idea che un video colloquio È UN COLLOQUIO. Dunque i candidati si preparano, nell’abbigliamento, nella postazione, e hanno capito che non si tratta di un “pre colloquio” ma di una fase ben definita del processo di selezione.
Da parte sua il selezionatore ha modo di valutare/considerare la persona, il tono di voce, le incertezze, lo sguardo, l’imbarazzo, le mezze verità. Ma certo non posso immaginare che il mio ruolo sia destinato a questo.
Chi fa selezione per passione lo fa anche per incontrare altri esseri umani dai quali riceve sempre qualcosa, e senza dubbio il monitor crea una distanza. Il fattore umano nella selezione è davvero importante, nessun test potrà sostituirsi alle considerazioni che compie un Hr (interno o esterno all’azienda) nella scelta di una risorsa.
Il processo di selezione prende in considerazione tanti aspetti rivolti alla persona e all’azienda per cui si sta svolgendo la selezione. Si tratta di sfumature complesse che davanti a un video si rischia di perdere.
In realtà già da anni il mondo delle risorse umane è digitale: piattaforme online per gestire piani di performance management, buste paghe, annunci di lavoro (chi ha ricordi di quando si mettevano gli annunci di ricerca di lavoro nei quotidiani?) ed email, tante email. Non vedo sinceramente la trasformazione. Per alcuni sarà finalmente l’era della digital trasformation anche nelle risorse umane.
La selezione delle persone è un’altra cosa. Il valore aggiunto delle selezione credo che non sia solo la valutazione esperienze/competenze, è l’interpretazione di cosa la persona intervistata mi ha trasmesso. Data l’esperienza che possiedo, dopo aver selezionato tante risorse e aver seguito le loro carriere, cosa posso dedurre o inferire da questo colloquio? Sembra davvero affidabile, responsabile, preciso (i ritardatari ci sono anche nel web!), determinato, pratico, logico, empatico, sensibile, ambizioso, creativo, eloquente, riflessivo, motivatore, trascinatore, leader, collaborativo, inclusivo… E cosa mi ha fatto pensare nel nostro incontro che la persona sia veramente così?
Le sue scelte lavorative sono come me le ha raccontate? Perchè -lo sappiamo- ciascuno di noi si costruisce e impara a raccontare la propria “storia”. Alcune sono più credibili di altre. Forse le competenze tecniche, quelle sì si possono valutare anche attraverso un video, ma il resto?
La selezione non è “un gioco a punti”, dove puoi pesare le risposte e dare un risultato certo.
La selezione è la considerazione di un essere umano che ha seguito un percorso professionale in un determinato contesto sociale, lavorativo, culturale e familiare.
Non conta solo dove è arrivato, ma come e perchè. Non conta solo la risposta che dà ma anche il modo in cui la dà. E alcuni di questi aspetti da una telecamera non è facile coglierli, per lo meno per me che non sono una psicologa comportamentale.
Ebbene sì, rivoglio i colloqui di persona, quando si potrà! Voglio incontrare carne ed ossa davanti a me, stressando le agende per fissare l’appuntamento. La fisicità dello sguardo non ha eguali.
E passiamo alla mia attività di orientamento professionale: chi viene da me si aspetta di mettersi subito a fare il CV, poi il profilo LinkedIn e poi trovare lavoro. Se sei venuto da me, significa che hai bisogno di rivedere la tua professionalità nel mercato del lavoro attuale. Le ragioni sono le più varie: licenziamento, una maternità durata 10 anni più del dovuto, malattia, un progetto finito prima di iniziare, un periodo di prova non andato come ci si attendeva.
Se sei venuto da me, significa che hai bisogno di rivedere la tua professionalità nel mercato del lavoro attuale. Le ragioni sono le più varie: licenziamento, una maternità durata 10 anni più del dovuto (le donne in queste situazioni…dovremmo scrivere un altro articolo), malattia, un progetto finito prima di iniziare, un periodo di prova non andato come ci si attendeva.
Dunque la domanda più semplice e banale del “chi sei e sei stato” (per poi parlare del cosa sai fare e cosa vorresti fare e approfondire poi cosa il mercato richiede) spesso porta reazioni imprevedibili. Per molti è un momento di consuntivo personale inaspettato e uno sfogo che sfocia in un pianto liberatorio, perché sentono che ce la posso fare, che può ripartire la loro vita professionale. Ovviamente mi metto in gioco anche io: prima racconto di me, della mia vita professionale e personale, delle scelte fatte e di quelle non fatte.
Questa comfort-zone offre la possibilità ad alcuni di riconoscersi. Ma dal video del PC o peggio dal telefono questo non emerge o emerge con grande difficoltà. Lo schermo crea una barriera che permette alle persone di mascherare ancora a sé stesse e agli altri le loro paure. E se non si fa uscire la paura del futuro, si fa difficoltà ad affrontare e ad adattarsi un presente inaspettato e difficile. Da un video è molto difficile gestire questa fase perché tutto rischia di diventare distaccato, impersonale. Considerando anche che, emotivamente e psicologicamente, essere a casa non aiuta, o forse per alcuni aiuta troppo. Abbiamo tutti difficoltà a raccontarci e farlo davanti ad una telecamera ancor di più… altrimenti saremmo andati tutti al Grande Fratello!
Fare orientamento a distanza toglie umanità, rende un corpo con le sue ferite un pezzo di ghiaccio, acqua solidificata e modellata che si scioglie presto. E non parliamo del fatto che non tutti hanno una connessione veloce, un computer o un cellulare di ultima generazione.
L’era digitale non è arrivata per tutti: diamo uno sguardo fuori, confrontiamoci con gente diversa da noi e capiremo che mentre noi stiamo qui a dissertare di smartworking sì/no, c’è chi non ha neppure il PC. E ne avrebbe disperato bisogno per lavorare o cercare un lavoro. La formazione online per adulti è anche per questo in difficoltà; non tutti riescono a seguire i corsi online perchè mancano di un PC, di una connessione adeguata, di giga disponibili o banalmente di una telecamera.
Lavorare e studiare da casa è quindi ancora un lusso, per tanti. È un lusso che comunque ci limita come animali sociali. Siamo animali in grado di adattarci. Ci siamo adattati e sicuramente ci dovremmo adattare ancora tanto, ma vi prego non ditemi che il distanziamento relazionale sarà la normalità, non ditemi che il futuro sarà questo!
Io spero che il futuro sarà cercare nuove modalità e nuovi strumenti per comunicare e vivere la socialità (professionale e personale), non solo davanti ad un PC.
Elisa Andreozzi