C’è forse un termine più brutto per definire un “lavoratore della conoscenza”, qualsiasi sia il suo livello di responsabilità o mansione, di quello comunemente usato (e abusato) di “dipendente”?!
Sottende un rapporto tendenzialmente squilibrato secondo il quale il professionista dipende dal datore di lavoro e di conseguenza mette in secondo piano il contributo propositivo e di responsabilità personale che ogni lavoratore dovrebbe agire nel momento in cui inizia a collaborare con una struttura.
Se cambiassimo prospettiva e parlassimo di collaboratori anziché di dipendenti probabilmente ci aspetteremmo da loro un contributo differente, se pensassimo a loro come a dei professionisti portatori di competenze e valore invece che come a persone che dipendono da “noi” per portare a casa uno stipendio a fine mese, sarebbe più facile interagire ad un livello più qualificato e qualificante.
Con quello di oggi vogliamo dare il via ad una serie di post che vi vogliono stimolare verso una considerazione diversa dei vostri collaboratori, per imparare a guardarli con occhi nuovi ma soprattutto per arrivare a capire che i “dipendenti” non possono aiutarvi a sviluppare il vostro business: avete bisogno di collaboratori, capaci, propositivi, attivi e intraprendenti che guardino al futuro in modo intenzionale.
Probabilmente li avete già accanto: dovete imparare a riconoscerli.
Probabilmente qualcuno deve ancora fiorire ed esprimersi: le potenzialità vanno coltivate perché diano frutti.
Probabilmente qualcuno è invece felice di essere un dipendente e non ha nessuna intenzione di mettersi in gioco in modo diverso… speriamo di no, ma in quel caso sappiate che avete fatto una scelta sbagliata ed il valore aggiunto che porteranno queste persone sarà scarso e non sufficiente a giustificarne il costo (scusate la brutalità, ma anche no).
Il futuro avrà sempre meno bisogno di dipendenti e sempre più valorizzerà i professionisti, a prescindere dalla formula contrattuale con cui lavoreranno (“coltiva il freelance che è in te” è una delle provocazioni che rivolgiamo ai dipendenti degli studi a cui facciamo formazione).
A parità di competenze tecniche eccellenti (e sulle quali è ormai ridicolo pensare di basare la concorrenza con i competitor) fioriranno quelle realtà in cui il valore aggiunto sarà generato da una team di persone affiatate, coinvolte, propositive.
Volendo quindi dare per scontate (anche se a volte scontate non sono) le cosiddette hard skills, vogliamo accompagnarvi a conoscere e soprattutto riconoscere le soft skills nei vostri collaboratori: quelle competenze trasversali sulle quali potrete contare davvero per sviluppare la vostra realtà. Che tipo di competenze sono? Sono quelle che non si insegnano ma si coltivano: sono ad esempio la capacità di risolvere problemi o imprevisti, la capacità di cambiare rapidamente, di adattarsi ad un contesto che evolve, il senso di responsabilità, lo spirito di iniziativa e le doti organizzative, l’affidabilità e naturalmente l’abilità nel relazionarsi di cui abbiamo già parlato.
Ma a monte di tutto questo ciò c’è l’atteggiamento. Parola forse abusata ma che ancora esprime bene quel mix di valori e modalità di affrontare le situazioni che ogni azienda o studio dovrebbe indagare e su cui dovrebbe soffermarsi in fase di selezione del personale.
Spesso confondiamo il bisogno di trovare lavoro del/la candidato/a o la nostra urgenza di coprire una posizione scoperta con un atteggiamento motivato e propositivo.
“Tutti possono mentire a colloquio” ci direte voi… certo, ma bisogna saper indagare oltre il dichiarato oppure farsi supportare da chi ogni giorno si trova a selezionare i migliori collaboratori per le aziende (concedeteci di tirare un po’ di acqua al nostro mulino!).
Non date niente per scontato, guardate alla persona nella sua globalità: cosa fa nel tempo libero, come impegna le sue qualità fuori dell’ufficio, che livello di energia mette in ciò che fa, che relazioni instaura con i colleghi, quanto piacevole è collaborare con lei/lui, che tipo di sensazione vi trasmette? Non pensiate che siano cose da poco… il professionista del futuro è quella persona che affronta con energia le situazioni, che ha interessi e attività anche fuori del lavoro, che si spende con generosità, che sa integrarsi e con cui è piacevole lavorare a prescindere dalle simpatie/affinità.
Un altro errore che spesso commettiamo è quello di non valorizzare le potenzialità che già abbiamo a portata di mano: una persona con il miglior atteggiamento, sinceramente motivata a crescere e propositiva, appassirà come una pianta lasciata senza acqua se non saremo capaci di nutrire questa sete di professionalità. E questo, a dirla tutta, è un errore ancora peggiore che tra l’altro ha conseguenze poco piacevoli sul nostro “brand employement” (ma di questo parleremo prossimamente).
Non correte il rischio di perdere un buon collaboratore per pigrizia o poca consuetudine al riconoscimento: prendetevi il tempo di osservare chi lavora con voi e di dare attenzione a chi lo necessità. Stimolate il loro coinvolgimento e nutrite l’atteggiamento propositivo… scoprirete di certo che avete già al vostro fianco molti professionisti e pochi dipendenti.
Sintetizzando quindi ecco i nostri consigli:
- cambiate prospettiva: basta dipendenti e sì ai collaboratori,
- cercate e poi coltivate i professionisti del futuro,
- l’atteggiamento è la prima spia da verificare: selezionate persone propositive, cariche di energia e disponibili a farsi coinvolgere,
- nutrite la professionalità ma anche l’atteggiamento dei vostri collaboratori: valorizzate il loro contributo riconoscendone il valore,
- prendetevi il tempo di osservare e di condividere.
Roberta Zantedeschi