Una delle fasi più critiche che si inseriscono nel ciclo di vita delle imprese è relativo al passaggio generazionale, ossia al momento in cui i figli succedono ai loro padri/madri nella gestione organizzativa e strutturale dell’azienda di famiglia.
Non pensarci per tempo, sottovalutandone la portata e gli impatti che tale transizione produce sul contesto operativo può significare, in molti casi, compromettere la continuità operativa stessa.
La successione imprenditoriale è un processo che si rivela spesso problematico perché influenzata non soltanto dalle caratteristiche dell’impresa, ma anche dall’atteggiamento dei soggetti coinvolti.
Essa produce effetti rilevanti sul piano organizzativo, proprio perché frequentemente le strutture e le dinamiche interne delle imprese riflettono la personalità e le competenze dell’imprenditore.
Infatti il passaggio di consegne non può certamente essere inquadrato solo come un mero passaggio di quote o cariche societarie, ma è il trasferimento di un patrimonio conoscitivo ed esperienziale che si è consolidato nel tempo.
A maggior ragione quando si tratta del fondatore.
Dati statistici (Aidaf – Associazione italiana delle aziende familiari) evidenziano che nei prossimi anni, oltre la metà degli imprenditori italiani dovrà affrontare questa delicata fase del cambio generazionale, ma nonostante ciò, solo in pochi si sono preparati in anticipo o comunque si stanno preparando.
Ad aggravare ancora di più la situazione ci ha pensato inoltre la pandemia di coronavirus che ha creato una crisi di liquidità senza precedenti e che ha portato il livello di indebitamento delle piccole e medie imprese ad un livello mai registrato prima.
In un contesto del genere, non è quindi un caso che ogni anno oltre il 10% delle aziende censite (nel 2019 erano 4,5 milioni) fallisca proprio a causa di una mancata pianificazione del passaggio generazionale.
Ancora dai dati emerge che soltanto il 30% delle imprese sopravvive alla seconda generazione, di queste un ulteriore 50% chiude entro la terza generazione.
Ciò significa che solo in 15 casi su 100 i nipoti riescono a gestire l’azienda fondata dai nonni.
La storia industriale del nostro paese ha visto un notevole sviluppo imprenditoriale negli anni ’60 e ’70 del “boom” economico e poi ancora negli anni ’80. Di conseguenza, attualmente oltre il 50% degli imprenditori ha più di 60 anni, quindi sulla soglia del ricambio ai vertici delle imprese. Pertanto è un processo che va consapevolmente pianificato e successivamente gestito con responsabilità e nell’ottica di far leva sul cambiamento per garantire all’azienda sviluppo, competitività e margini di miglioramento continuo.
In questo scenario si inseriscono le principali difficoltà legate ai cambi generazionali suddivisibili in ostacoli interni e fattori di rischio esterni.
Il principale ostacolo interno è rappresentato dalla perdita potenziale del patrimonio di conoscenze e relazioni di cui l’Imprenditore è portatore in prima persona. Dagli aspetti tecnico-organizzativi a quelli finanziari, patrimoniali e di natura psicologica-relazionale, la complessità di questi elementi porta ad una commistione tra azienda e famiglia in cui diventa sempre difficile distinguere i confini.
L’imprenditore – primo responsabile del processo di transizione – tende a rinviare il momento in cui affrontare questo tema ed avviare un processo di delega costruttiva.
Tuttavia, vi è da rilevare che, nonostante un aumento di consapevolezza negli ultimi anni, il problema della continuità/successione non sia considerato prioritario dalla maggioranza degli imprenditori italiani, che – se interpellati a proposito – prevedono di affrontare il tema con un approccio contingente da gestione operativa (“ci penserò quando sarà il momento“) e non, invece, attraverso un processo di pianificazione strategica.
Dall’esterno fattori come la globalizzazione, la rivoluzione digitale, il paradigma 4.0, l’evoluzione dei mercati, i diversi modi di rapportarsi a fornitori e clienti implicano radicali cambiamenti, che possono essere agevolati dalla spinta delle nuove generazioni e dall’introduzione in azienda di nuove competenze.
Dunque l’impresa familiare italiana è sempre più al centro di una transizione che può rivelarsi conflittuale, in termini di ruoli da definire e competenze da attribuire, se non si è stati capaci di tracciare i percorsi futuri creando le condizioni per:
– agire il cambiamento e non respingerlo (le sfide dei mercati, lo sviluppo delle risorse umane, l’ingresso delle tecnologie, la profilazione della clientela, ecc.);
– mantenere/innovare l’efficienza della gestione operativa;
– attrarre risorse umane professionalmente capaci di contribuire al successo dell’azienda familiare
La causa principale della morìa di molte aziende familiari risiede proprio nel ruolo del fondatore che contemporaneamente assolve al duplice ruolo di capofamiglia e a capo dell’ impresa così fortemente condizionata, dalle regole e dai legami familiari, dall’accentramento del sistema decisionale con influenze negative su tutta la gestione dell’azienda. Ed i problemi gestionali delle imprese familiari emergono con tutte le criticità proprio al momento della successione e del “passaggio dei poteri”, poiché i componenti della famiglia proprietaria potrebbero confondere le finalità dei due eventi che, invece, sono diametralmente opposti.
È tuttavia evidente che una buona conduzione d’impresa familiare non può prescindere dalla comprensione e dalla razionalizzazione dei rapporti esistenti tra il “sistema impresa” e il “sistema famiglia”.
Eppure, la logica familiare tende a privilegiare e a proteggere i membri della famiglia nella fase di assunzione, nello sviluppo delle carriere e nel soddisfacimento delle aspirazioni materiali e immateriali (formazione, crescita professionale, prestigio interno ed esterno).
Le complessità che tutto ciò genera portano la generazione al potere ad essere combattuta tra il desiderio di non creare conflitti in famiglia e la necessità evidente di ricevere il supporto di professionalità esterne al nucleo familiare.
Quando si tratta di supportare un passaggio d’impresa, bisogna svolgere un’attenta analisi delle caratteristiche “necessarie” per coprire il ruolo di imprenditore da parte di chi subentra.
Per questo motivo, esso deve essere il risultato di un’azione preventiva, mirata a creare le condizioni ideali affinché la titolarità dell’impresa “passi” da una generazione all’altra, senza danneggiare la competitività dell’impresa né la coesione e l’armonia della famiglia. L’esperienza insegna che il passaggio generazionale è un processo durante il quale la coesistenza protratta di membri familiari appartenenti a più generazioni, e spesso a diversi rami della famiglia, può complicare le relazioni familiari e professionali.
Il processo va gestito per tempo, mirando alla condivisione e al successivo rispetto di regole chiare circa l’oggetto e le modalità del passaggio. Le possibili criticità del passaggio generazionale, nascono dai potenziali conflitti che derivano dalla sovrapposizione dei ruoli di “azionista”, “leader” e “manager” in capo ai membri della famiglia.
I criteri di trasmissione dei suddetti ruoli sono, pertanto, i primi aspetti da disciplinare, guardando al futuro.
Questo, perseguendo due obiettivi:
– la governabilità dell’impresa;
– l’armonia della famiglia
L’intervento di un consulente può agevolare il passaggio attraverso:
– l’analisi del sistema congiunto famiglia/impresa e delle relazioni esistenti al fine di individuare eventuali fattori critici;
– l’individuazione dei punti di forza e di debolezza dell’impresa, nonché l’analisi del relativo posizionamento nel mercato, per individuare le possibili strategie di sviluppo e valutare quella idonea per il sistema integrato famiglia-impresa;
– l’affiancamento all’Imprenditore e al successore nel periodo di transizione;
– se necessario, l’introduzione di un “temporary manager” d’esperienza che affianchi un familiare da avviare e da far crescere, nella prospettiva della successione.
Prendere perciò per tempo contezza della necessità di predisporre tutti i necessari accorgimenti per un soddisfacente passaggio delle redini aziendali è il prerequisito fondamentale per evitare poi i più comuni errori molto spesso verificatisi, come il confondere i ruoli della proprietà rispetto all’impresa ed alla sua governance, non coinvolgere attori terzi nei ruoli determinanti, non investire nella formazione imprenditoriale delle successive generazioni, considerare come immutabile il pur importante patrimonio di valori lasciato “in eredità“ dal fondatore, ma che a volte, soprattutto oggi, deve spesso essere rivisto alla luce dei nuovi ed emergenti contesti culturali e socio economici.
Stefano Condoluci