È un dato di fatto che esistano percorsi formativi e professionali più tecnici ed altri più umanistici. Ci sono lavori e lavori insomma: da un commercialista e dai suoi collaboratori tutti si aspettano senza ombra di dubbio competenze specifiche, aggiornamento continuo, precisione, puntualità sulle scadenze e grande attenzione ai dettagli e ai numeri… quei numeri che in sede di bilancio dicono al cliente se può festeggiare un altro felice anno di attività, se è invece il caso di stringere un po’ la cinghia o se bisogna pensare a qualcosa per risollevare una situazione non particolarmente positiva.
Chi gestisce la contabilità delle aziende è stato sempre chiamato a questo: numeri, dati, rendiconti, adempimenti, scadenze ecc… l’obiettivo, soprattutto nel nostro tessuto imprenditoriale fatto di PMI, è stato per molto tempo quello di sollevare la proprietà-direzione aziendale da tutta una serie di incombenze amministrativo-fiscali, generalmente distanti dal core business dell’impresa.
Il rapporto che si instaurava tra cliente e studio professionale era perciò tipicamente “funzionale” e spesso un po’ distaccato: i collaboratori del professionista, che direttamente lavorano sulle contabilità dei clienti, erano generalmente chiamati ad eseguire con grande puntualità e (si spera) elevati standard qualitativi una serie di compiti che poco avevano a che fare con la relazione, la comunicazione e il customer care (diverso invece è il rapporto che l’imprenditore creava e tutt’ora crea con il professionista, che spesso è figura consulenziale di fiducia).
Questo nel tempo ha fatto sì che i clienti spesso non conoscessero direttamente le persone che curavano la contabilità della loro azienda e, viceversa, che i dipendenti dei nostri studi non sapessero molto degli imprenditori di cui gestivano gli adempimenti fiscali.
Fino a qualche anno fa tutto questo funzionava: c’era una sorta di equilibrio per cui le cose giravano, senza particolari sforzi e con una sostanziale staticità. Lo studio che funzionava meglio era quello che garantiva grande qualità a tariffe concorrenziali, punto! Si sentiva il bisogno di aggiornarsi spesso, di far in modo che i collaboratori sapessero far fronte alle continue evoluzioni delle normative, di garantire servizio all’altezza delle richieste puntando sulla preparazione tecnica e, negli ultimi anni, anche sull’introduzione di un po’ di tecnologia informatica.
Oggi qualcosa è cambiato, c’è una richiesta nuova che si sta facendo imprescindibile e alla quale nessuno ci ha davvero preparati: né gli studi scolastici ragionieristici, né la facoltà di economia aziendale, né gli innumerevoli corsi di aggiornamento, né gli articoli de Il sole 24 ore.
Il “nuovo” bisogno dei clienti si chiama… relazione!
Quella relazione secondo la quale il cliente si sente compreso, ascoltato, oseremo dire “accolto”. Mai come in questo momento i nostri clienti ci chiedono un qualcosa in più che non si esaurisce nella precisione delle scritture, nell’eccellenza della prestazione, nella puntualità degli adempimenti ma che ha invece a che fare con un’umanità e un calore nel rapporto, per troppo tempo relegata ad optional nel nostro settore.
La professionalità distaccata (e talvolta comoda, ammettiamolo) non ci permette di entrare in sintonia con una clientela da una parte sempre più esigente e dall’altra sempre più in difficoltà e quindi bisognosa di sentire che le persone a cui si affidano (noi e i nostri collaboratori) ci sono, capiscono, sono coinvolte, sanno farsi carico e sanno trasmettere, insieme alle informazioni, anche un po’ di empatia, partecipazione e propositività.
Il cliente in crisi ci chiama e (troppo) spesso è disorientato, arrabbiato, confuso, spaventato… Insieme alle informazioni è alla ricerca di uno sfogo alla propria frustrazione e -se non trova chi sa accogliere e gestire il suo stato d’animo- la sua visione negativa potrebbe finire per intaccare anche il rapporto professionale che ha con noi, a prescindere dalla correttezza del nostro operato.
Quando perdiamo un cliente chiediamoci con onestà perché se n’è andato: probabilmente la risposta non avrà nulla a che fare con la correttezza formale del servizio erogato né con il prezzo più competitivo di un concorrente o di una associazione di categoria (anche se è questa la risposta che danno a noi).
La nostra grande preparazione tecnica a poco vale di fronte ad una richiesta di relazione e questo è un messaggio che ogni professionista deve trasmettere ai collaboratori che gestiscono il rapporto diretto con le aziende.
Ma a volte non è sufficiente sensibilizzare, talvolta è necessario intervenire a livello di formazione, perché la complessità del periodo che viviamo richiede strumenti comunicativi precisi. Si chiama “Formazione sulle soft skills”: su quelle competenze trasversali che fanno la differenza, una differenza che non può più essere ignorata.
Ecco perché Competenze in Rete propone tra i suoi servizi anche corsi di formazione comportamentale e relazionale destinati ai collaboratori degli studi.
L’attività è gestita dalla divisione Risorse Umane e lavora soprattutto sull’atteggiamento e sulle capacità relazionali.
Le tematiche vengono definite sulla base delle esigenze specifiche ma riguardano, tra gli altri, anche gli ambiti del Miglioramento della collaborazione interna, della Comunicazione e rapporto con il cliente, del Coinvolgimento dei collaboratori negli obiettivi aziendali ecc…
In un tempo di grandi cambiamenti chi prima si muove, vince!
Roberta Zantedeschi